Quel giorno (era
settembre, riesco ancora a ricordare il vento fresco che ti sorprende
e riscalda dentro, portatore di futuri inverni e di tazze piene di tè
bollente), quel giorno mi trovavo a guardare il mare con un
biglietto in mano, un biglietto che avevo ritrovato nella tasca di
una giacca in pelle color marronconsumato che era rimasta chiusa
nell'armadio per un po'. Nelle mie orecchie il suono di un pianoforte
che mi rapiva struggente, quasi a volermi incitare a prendere la
decisione sbagliata. Mi ero dimenticata di quel pomeriggio di
primavera in cui, davanti al computer, avevo esitato fino all'ultimo.
E poi avevo ceduto. Avevo comprato quel biglietto, l'avevo stampato
mentre sorridevo pensando al mare che avrei attraversato per andare
lassù, in quella città dove c'eri tu che non sapevi niente di quel
pezzo di carta e di quei sorrisi ingenui in allegato.
Guardavo le onde che leggere si
increspavano, bianche su fondo scuro, sembrava di essere davanti a uno
di quei quadri che un pomeriggio ho guardato per ore, illuminata dal
riflesso polveroso delle vetrate di quel museo dal nome così
soffice. Poi, incantata, quelle stesse onde ho provato a dipingerle
sul muro della mia camera. Ma forse non te l'ho mai detto.
Assordata dal rumore incessante di un
vortice di sale e acqua fissavo quel piccolo rettangolo stropicciato,
che adesso non valeva niente. Oppure valeva troppo. Per me, almeno.
Per me che ho avuto le guance rigate dal trucco blu e gli occhi come
pozze di fango mentre fissavo il nome di quella destinazione che non
avrebbe conosciuto arrivo. Perché io non avrei mai sentito sulla
schiena la piccola scossa dell'atterraggio su quella pista bagnata da
gocce fredde.
Ho portato un libro, qui davanti alle
onde, su questi scogli che, così freddi, graffiano i miei piedi
scalzi. Ho portato un libro e ho riletto quella pagina consumata e un
po' scolorita. Mi sono chiesta cosa ci spinge, a volte, a dare così
tanto peso alle combinazioni di luoghi, suoni e parole che
innumerevoli volte segnano momenti che in realtà non sono poi così
importanti. Eppure sapevo che quei dieci secondi, quelli in cui
strappai la pagina macchiata di lacrime azzurro mare e la lasciai
andare, guardandola annegare fra le onde mentre ascoltavo quei suoni
che a ripetizione si insinuavano nella mia mente, io sapevo che quei
dieci secondi
quel momento gelido
non si sarebbe
mai
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