giovedì 2 febbraio 2012

Cancellato


Quel giorno (era settembre, riesco ancora a ricordare il vento fresco che ti sorprende e riscalda dentro, portatore di futuri inverni e di tazze piene di tè bollente), quel giorno mi trovavo a guardare il mare con un biglietto in mano, un biglietto che avevo ritrovato nella tasca di una giacca in pelle color marronconsumato che era rimasta chiusa nell'armadio per un po'. Nelle mie orecchie il suono di un pianoforte che mi rapiva struggente, quasi a volermi incitare a prendere la decisione sbagliata. Mi ero dimenticata di quel pomeriggio di primavera in cui, davanti al computer, avevo esitato fino all'ultimo. E poi avevo ceduto. Avevo comprato quel biglietto, l'avevo stampato mentre sorridevo pensando al mare che avrei attraversato per andare lassù, in quella città dove c'eri tu che non sapevi niente di quel pezzo di carta e di quei sorrisi ingenui in allegato.
Guardavo le onde che leggere si increspavano, bianche su fondo scuro, sembrava di essere davanti a uno di quei quadri che un pomeriggio ho guardato per ore, illuminata dal riflesso polveroso delle vetrate di quel museo dal nome così soffice. Poi, incantata, quelle stesse onde ho provato a dipingerle sul muro della mia camera. Ma forse non te l'ho mai detto.
Assordata dal rumore incessante di un vortice di sale e acqua fissavo quel piccolo rettangolo stropicciato, che adesso non valeva niente. Oppure valeva troppo. Per me, almeno. Per me che ho avuto le guance rigate dal trucco blu e gli occhi come pozze di fango mentre fissavo il nome di quella destinazione che non avrebbe conosciuto arrivo. Perché io non avrei mai sentito sulla schiena la piccola scossa dell'atterraggio su quella pista bagnata da gocce fredde.
Ho portato un libro, qui davanti alle onde, su questi scogli che, così freddi, graffiano i miei piedi scalzi. Ho portato un libro e ho riletto quella pagina consumata e un po' scolorita. Mi sono chiesta cosa ci spinge, a volte, a dare così tanto peso alle combinazioni di luoghi, suoni e parole che innumerevoli volte segnano momenti che in realtà non sono poi così importanti. Eppure sapevo che quei dieci secondi, quelli in cui strappai la pagina macchiata di lacrime azzurro mare e la lasciai andare, guardandola annegare fra le onde mentre ascoltavo quei suoni che a ripetizione si insinuavano nella mia mente, io sapevo che quei dieci secondi
quel momento gelido
non si sarebbe
mai

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