mercoledì 16 maggio 2012

Inversione_01


Cambio improvvisamente la mia direzione, dopo anni di scrupoloso cammino in linea retta. Vivo in una città in scala di grigi, fatta di spigoli e di troppi vuoti da riempire. Insignificante esistenza divisa fra anonimi muri portanti, cielo inesistente, orizzonti monocromatici da cui non spunta mai il sole. Lo dipinsi sulla mia finestra, una volta: un cerchio arancione ormai sbiadito, intenso contrasto di sfumature per riempire i miei occhi inquinati.
Il ventitré barrato fa sempre la stessa strada, e dalla via stretta dove ho accumulato i miei giorni arriva fino alla giungla di palazzi in cui quotidianamente seppellisco il mio corpo per otto lunghe ore. Sempre lo stesso percorso, da anni. Non so perché, ma stamattina la cosa mi sconvolge. Vedo per la prima volta davanti ai miei occhi i binari arrugginiti sui quali a ritmo cadenzato scorre la mia vita, e adesso lo sento, così velato, il rumore soporifero dei miei minuti sprecati che scorrono.
Cambio improvvisamente la mia direzione, oggi. Vorrei poter uscire da questa giungla intrisa di delusione collettiva senza seguire alcun percorso, senza dover prendere l'ennesimo tram, vorrei potermi smaterializzare, poter scomporre le mie molecole intossicate e disperdere la mia disfatta nello smog di settembre.
E adesso, dopo anni di scrupoloso cammino in linea retta, volgo le mie ginocchia stanche verso una meta sconosciuta, torno a sentire il sapore delle direzioni contrarie, dell'abbandono di ogni sterile programma di vita o di semplice esistenza.
Mi ritrovo quasi all'improvviso in cima alla terrazza di un palazzo abbandonato, scrigno inviolabile, da sempre discreto nascondiglio dei miei pensieri. Non so quale combinazione di mezzi e passi in ordine sparso mi abbia portata fin qui. Si vede tutto, da quassù. Tutto quello che non avrei voluto vedere. Il mio sguardo abbraccia la mia gabbia, la mia non-casa, tutto quello che ormai fa parte del mio più recente passato. Decido, in un istante, di andarmene.
Nessuna traccia dietro di me, non lascerò nessuna impronta che potrebbe ricondurmi all'amarezza del mio anonimo passato. Scriverò una lettera di dimissioni, una di scuse e una fatta di lacrime sparse, e le spedirò quando sarò lontana da qui, in una stanza vuota, nel tepore della mia nuova vita.

Ottobre, mattina.
Ti scrivo in brutta copia, qui sul mio diario, dispiegherò i miei sentimenti ingarbugliati, strapperò la pagina, piangerò. Cercherò di razionalizzare, poi cederò, e ti dirò semplicemente che la mia nuova vita, qui in questo paese lontano, è, semplicemente, bella.

Non può funzionare. Non capirà. Eppure non posso scrivere nient'altro, non posso fingere. Ho cambiato direzione, non posso sottrarmi dal processo irreversibile di fuga dal piano inclinato dei miei giorni in serie. Ma so anche che questa mia conquista dovrò tenerla solo per me. Sono io che ho scelto di abbandonare tutto nel più vigliacco dei modi, sono io che ho rinnegato la stabilità del resto dei miei giorni, sono stata io a salire su un aereo senza portarmi dietro niente. Ora devo accettare la mancanza di ogni comprensione. Sarò l'unica a riuscire ad intravedere la felicità nel provvisorio, a sperare nel potere salvifico dell'incertezza, destinata alla perenne accusa di essere priva di qualunque radice.
Alzo il bavero della mia giacca rossa, guardo in su, esco nell'aria pungente del mio primo autunno con i raggi del sole. Non c'è stato bisogno di disegnare niente sul vetro della mia finestra, stavolta. Ho due lettere in mano: imbuco la prima senza alcuna remora, accarezzo la seconda mentre ricordi malinconici della mia infanzia mi attraversano la mente. Non ce ne sarà una terza.
Con le mani in tasca cammino spedita su queste strade sconosciute, cerco di respirarle tutte, di immaginarle, queste infinite incognite che mi hanno salvata. Sorrido. Sono troppe. Sono belle.