Francesco.
Un uomo con un cappello beige calato di
sbieco sui capelli tagliati corti, grigi, camminava lentamente in
mezzo alla nebbia di un'alba da meno tre gradi e ghiaccio sul
corrimano di ferro del sottopassaggio, alla stazione. Aveva un
cappotto lungo e la camminata elegante, il passo sicuro di chi sa che
le probabilità che accada qualcosa di eccessivamente sorprendente
nella propria vita sono ridotte. Sembrava esserne felice. Assaporava
gli ultimi capitoli, quelli in cui fai tutto ciò che non hai avuto
tempo di fare in una vita intera. Camminava senza valigia verso un
treno che sarebbe partito in ritardo. Avanzava lento, sembrava
appartenere a una dimensione temporale differente rispetto a tutte
quelle persone che non facevano altro che inseguire i loro
inevitabili ritardi. E in quegli attimi di tempo distorti, la vide. I
capelli chiarissimi, una treccia sottile sulla spalla, occhi che non
conoscevano la finzione del trucco. Era lei. Era uguale a lei, la sua
aria trasognata, le sopracciglia folte, tutto in lei lo fece tornare
a quel pomeriggio, l'ultimo pomeriggio in cui la baciò per l'ultima
volta, dopo aver fatto l'amore sorridendo, con gli occhi un po'
lucidi. Poi la guerra. Forse era morta. Forse aveva avuto una figlia
uguale a lei, che ora camminava verso il binario quattro.
Helen.
Helen era persa nei suoi pensieri,
canticchiava fra sé un brano che sapeva di tazze di porcellana e
lezioni di piano pomeridiane.
Camminava e non faceva caso alla realtà circostante, anche se per un
attimo la sua attenzione fu catturata da un uomo con tante rughe e lo
sguardo intriso di nostalgia, che la guardava con una tenerezza
indicibile. Pensò che guardandolo fisso negli occhi avrebbe potuto
vedere qualche episodio della sua vita, sotto forma di vecchi
ritratti in seppia di famiglie in posa, fotografie dai bordi
consumati, cartoline in cui un corsivo stentato comunica con
un'eccessiva formalità che tutto va bene.
Poi tornò a
pensare al suo treno che stava per partire, a quel ragazzo che
l'aspettava dall'altra parte, quell'italiano di cui si era invaghita
in modo insano, e che fra un mese non avrebbe rivisto mai più. Non
voleva. C'era Marc, che la aspettava. C'era una casa appena
ristrutturata, divani ricoperti di cellophane e intenso odore di
vernice, pareti spoglie e librerie che avrebbero accolto letture
irrimediabilmente contrastanti. Salì sul treno, si sedette di fronte
a un ragazzo con un'infinità di riccioli rossi e una camicia troppo
larga che agitava un foglietto quadrato con aria annoiata. Guardò
meglio. Era una polaroid, il viso di una bambina sorrideva sdentato
sul cartoncino colorato. Fossette sulle guance e un cappellino blu.
Adesso era seduta poche file più avanti, a mangiare caramelle e
incollare figurine su un album colorato.
Alessandro.
Alessandro, il
fotografo dai capelli rossi, non riusciva a lasciarsi sfuggire i visi
delle persone che inconsciamente accompagnavano i suoi viaggi. Era
affascinato dal pensiero di poter conservare per sempre una traccia
di qualcuno che non avrebbe rivisto mai più, come a voler ricordare
sempre a sé stesso quanto fosse tutto estremamente effimero, nella
sua esistenza fatta solo di tante partenze e ben pochi arrivi. La
ragazza che si era appena seduta davanti a lui era di una bellezza
disarmante, semplice, irreale. Una bellezza antica, con quei capelli
legati in una treccia delicata di fili dorati. Se la immaginò
subito, immortalata per sempre in un ritratto dipinto su una tela che
avrebbe ornato un soggiorno fatto di divani in pelle profumata e
tappezzeria a fiori rosa pallido. Era uno di quei visi che ricordano
lo strato di polvere che ricopre tutto quello di cui prima o poi ci
si dimentica. Lei si voltò a guardarlo, lui scattò. Prese quel
piccolo pezzo di carta, si meravigliò di quanto l'immagine che
lentamente prendeva forma fosse simile a come l'aveva immaginata. Si
sporse verso di lei per mostrargliela, ma un soffio di vento la portò
via. Il treno non si mosse, ma lui non andò a recuperarla. Si limitò
a guardare fuori dal finestrino. Quello che
vide fu un uomo.
Francesco (pt. 2)
Un uomo che fissava
un pezzo di carta, rapito. Le sue mani ruvide toccavano la superficie
di quella fotografia quadrata, che era atterrata ai suoi piedi da
chissà dove. Lacrime calde gli bagnavano le guance. Gli mancava, gli
mancava da impazzire. Non si ricordava più perché fosse uscito di
casa quella mattina gelida, si era dimenticato del biglietto che
aveva lasciato sul comò e delle motivazioni che l'avevano spinto
fino alla stazione. Dimenticò tutto. Mise quella foto nella tasca
interna del cappotto, lo richiuse, sentì la carta premere sul lato
sinistro del petto. Si aggiustò il cappello, e con le mani in tasca
si allontanò.
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