Repliche di una partita che non
vorremmo rivedere, cronache in castigliano stretto e neanche troppo
fine, mani screpolate dal sapone a buon mercato, voci stridule di
ragazze dalla cellulite che parla, americano ovviamente, una lingua
composta per il novantotto percento da risate sguaiate. Festeggiare
per ciò che non si dovrebbe né si vorrebbe e ridere sotto i getti
d'acqua di una fontana invasa da tifosi invasati, fiori fucsia nella
piazza dove meno ci si aspettava di trovare la movida
(quella che noi l'avremmo fatta dieci volte meglio),
cognomi inventati, o meglio, tradotti alla lettera per cambiare
temporaneamente identità. Croissant ripieni di prosciutto che è
meglio del prosciutto, e di formaggio così così, e quel sapore
burroso che non ti aspettavi di ritrovare qui, salutandolo in modo
quasi nostalgico leccandosi le dita per strada, dopo. Conoscenze
lampo, c'è chi arriva e ti parla in inglese con un accento anche
troppo conosciuto, che lo sgami subito, c'è chi dorme in una
camerata mista senza vestiti addosso, c'è chi ti sorride mentre
attacca un poster sotto il sole delle due del pomeriggio e ti dice
che sì, c'è un festival, e sì, inizia proprio stasera. Fare un
check-out è molto più facile del previsto, e anche rivedere le
proprie priorità, oppure realizzare quanto sia bello ciò che a
priori avremmo escluso. Ci sono mercati grandi interi quartieri, ci
sono torte al tonno buone come non mai e bicchieri di birra minuscoli. C'è un posto bellissimo in cui si possono fotografare
tutti i colori insieme, tutti.
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