“A cosa pensi?” mi chiese Daria
mentre fissavo con gli occhi lucidi quel piccolo oggetto cilindrico,
freddo, mentre leggevo e rileggevo la scritta in stampatello, colour
film, e pensavo a quante cose
avevo dimenticato.
“A
niente. A tutto”.
Pensavo che avrei
dovuto mollare tutto, lo straccio per spolverare e i libri per metà
sulla libreria componibile, quelli letti a destra, quelli non letti a
sinistra, quelli brutti dietro, in doppia fila. La mia nuova
coinquilina si era sempre rifiutata di venderli o regalarli. I libri
si tengono, mi diceva con il suo tono di chi ha una motivazione per
tutto. Non avevo voglia di raccontarle la storia di quel rullino. Non
tanto perché ci conoscevamo da pochi giorni, ma perché non avrei
saputo da dove iniziare. Era troppo strana, vecchia e polverosa.
Allora ho preso la
borsa e sono uscita, senza neanche cambiare la vecchia maglietta dei
tempi della scuola che indossavo per le occasioni speciali come
quella, per i cambi di stagione, o per dipingere persiane. Ho guidato
in fretta fino alla casa del mio migliore amico, ho interrotto
bruscamente la scrittura della sua tesi su strani numeri con le
virgole citofonando insistentemente.
“Che
ci fai qui? E come diavolo ti sei vestita?”
“Mi
fai usare la tua camera oscura?”
“Adesso?
Ma sto scrivendo, e non ti lascio sola lì dentro, che mi incasini
tutto!”
“Dai,
metto tutto in ordine, promesso. Su, fammi entrare, è importante”.
Pochi minuti dopo
ero davanti a quelle vaschette bianche, rettangolari, avevo allineato
le pinze davanti a me con una precisione chirurgica che trovavo solo
in quei momenti, quando sapevo che stavo facendo nascere qualcosa. O,
in questo caso, resuscitare.
Le mie mani si
muovevano, illuminate da quella debole luce rossa, con mosse leggere
immergevo quei rettangoli di carta nelle vaschette, vedevo il mio
passato che ricompariva sotto i miei occhi, così pieno di oggetti
strani e dimenticati.
Il filo per
stendere era legato malamente a due chiodi arrugginiti che spuntavano
dalla parete. Tante mollette colorate tenevano stretti quegli attimi
un po' fuori fuoco. Non avevo mai capito chi fosse. L'avevo
completamente dimenticato, in realtà.
All'improvviso mi
rivedo, sul muretto davanti alla spiaggia. Ero uscita da sola, con
quella vecchia macchina fotografica, in macchina con me c'era un
pacco di caramelle, di quelle a forma di fragola, che sanno di un
frutto che probabilmente neanche esiste. Guardavo verso il basso,
c'era una lucertola che si arrampicava timida in mezzo alle crepe tra
un mattone e l'altro, la fotografai. Poi un'ombra catturò la mia
attenzione. Una sagoma, sfocata, in mezzo al vento. Esile, lontano,
sfuggente, un ragazzo camminava lento sulla sabbia scolorita dal
tramonto grigiastro, senza meta, senza volto. Trascinava i piedi, la
figura semitrasparente. Doveva essere malinconico, o pensieroso, o
entrambe. Sembrava un pirata. Aveva i capelli lunghissimi, scuri, e
una bottiglia di vetro opaco in una mano, piena di un liquido scuro,
forse rum molto scadente. Barcollava. Senza pensare, sollevai la
macchina fotografica, il pirata era al centro dell'obiettivo,
scattai. E sentii il rullino che si riavvolgeva. Abbassai lo sguardo
verso la macchina fotografica, ma solo per pochi secondi. Quando
tornai a guardare verso la spiaggia, il pirata era sparito. Pensai di
aver avuto una visione, rimasi immobile per un attimo, poi mi alzai e
tornai in macchina, guardando per un attimo quell'acqua un po'
increspata, immaginando tesori sprofondati negli abissi, e pirati che
vagavano alla loro ricerca come anime in pena.
Percorsi con gli
occhi tutte le fotografie appese come panni stesi ad asciugare,
leggermente scolorite, piene di luce, forse troppa. La mia vecchia
camera piena di libri e disegni, qualche cartello stradale, poi
una stazione, un treno regionale ricoperto di scritte, una bambina con
una valigia. Poi una spiaggia, una lucertola su un muretto. E, alla
fine, l'ultimo scatto. Lui. Non era stata una visione. Non avevo
immaginato niente. C'era, il pirata, era triste, guardava verso un
punto imprecisato, gli mancava qualcosa, si vedeva. E non era l'oro,
non era una nave, era qualcos'altro, che mancava nei suoi occhi. E
adesso, per un momento, dopo mesi, mi chiesi che fine avesse fatto,
se avesse trovato quello che cercava con così tanta rassegnazione.
Quando uscii dalla
camera oscura, la luce del piccolo soggiorno mi accecò.
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