venerdì 25 novembre 2011

Partenza


Trecentoventiquattro, trecentoventicinque. Trecentoventisei. Mi girai trafelata, dopo aver corso per dieci minuti sui gradini che portavano al belvedere, nella luce rosa del tramonto. Un po’ di nebbia, vento fresco. La città che iniziava a illuminarsi era bellissima. Ogni volta che arrivavo lì in cima dopo una corsa, pensavo a tutte le persone che stavano laggiù, a camminare per strada o bere cioccolata in un bar, a nuotare in una piscina fredda o a baciarsi in cucina. Pensavo alle loro vite, mi chiedevo se ne fossero soddisfatti, se avessero voglia di scappare, ogni tanto.
Mi sedetti su una panchina che sembrava appoggiata lì quasi per caso, presi dallo zaino il mio libro preferito, con la sua copertina bianca consumata, e lo aprii a pagina ventisei. Sorrisi, come ogni volta che leggevo quelle poche righe, quella poesia così semplice e buffa, quell’incontro di due persone che forse non si accorgeranno mai di volersi così tanto. Pensai a una persona lontanissima, solo per un attimo. Poi, con una penna nera scrissi qualche parola sulla prima pagina, con la mia scrittura incerta, sbilenca. Richiusi il libro in fretta. Non volevo fuggire, pensai. Non senza salutare, prima.
Appoggiai il libro sulla panchina, avevo le mani fredde, e sentivo il cartoncino ruvido sotto le dita.
Poi mi alzai, il sole era tramontato, le luci della città erano un po’ sfocate, o forse era solo una mia impressione. Dovevo sbrigarmi, il mio volo sarebbe partito fra poche ore. Non mi voltai a guardare il libro che stava lì, unica traccia in quella città che non avrei rivisto mai più. Velocissima, corsi giù per i gradini in pietra. Non guardai indietro. Mai più.

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