sabato 19 novembre 2011

Il trasloco

Lo scotch è quasi finito, resta solo una scatola da chiudere, quella con scritto “libri” in nero, la più pesante di tutte. I frammenti della sua vita sono sigillati intorno a lei, ed è come se non riuscisse a percepire più nemmeno uno dei suoi ricordi, non un solo istante dei tre anni passati in quella città sporca e piovosa, tra i mattoni rossi e le scale strette di quella casa ai piedi della collina. Tre anni. Aveva giurato a sé stessa, una volta, che non avrebbe passato più di un anno in nessun luogo, mai nella vita. Anche nella città più bella del mondo, prima del trecentosessantacinquesimo giorno la sua valigia doveva essere pronta, sulla porta. Niente scuse. Eppure qui, in questo posto che neanche le piaceva, c’è stata così tanto, nonostante fosse una città sul fiume. Alice odia i fiumi, odia dover attraversare un ponte, dover camminare affianco all’acqua mentre va al lavoro. Le sembra sempre di sentire la voce di un amante infelice che si è gettato fra le sue fredde increspature con lacrime di rabbia chiuse in gola.
Guarda fuori dalla finestra, le stelle non si vedono, troppe luci, troppa polvere sul vetro. Riesce a vedere solo il riflesso del suo mezzo sorriso, quello che la accompagna ogni volta che si lascia qualcosa alle spalle, ogni volta che lascia un’impronta in una parte di mondo.
Una volta uno dei suoi amanti si è appropriato di versi altrui per comunicarle il suo disappunto al riguardo. Non ricorda bene neanche il suo viso, se ci pensa adesso.
Parte una canzone, alla radio, e sulle note del pianoforte, su quella voce strascicata, Alice balla. Scalza, tra gli scatoloni, in mezzo alla polvere, urla con ogni suo muscolo, i capelli disegnano l’aria, le dita afferrano appigli inesistenti, lacrime di mascara dipingono la pelle bianca. Poi crolla per terra in silenzio, dopo un tempo apparentemente infinito, dopo la sua estasi, il suo addio.
Si alza, scalza cammina verso la porta, non si asciuga le lacrime. Sulla mensola all’ingresso, una scatola minuscola. La prende, Alice, la apre, estrae un fiammifero. Lo stesso mezzo sorriso di poco prima le sfiora le labbra mentre lo accende e lo lascia cadere lì, sul tappeto, in mezzo ai suoi ricordi di cartone. Chiude la porta alle sue spalle, e cammina lenta verso le colline, schiacciando fili d’erba con i piedi nudi, illuminata da tanti riflessi arancioni.
In fondo, si può vivere anche senza ricordi, pensa, felice per la prima volta.

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