domenica 29 aprile 2012

Encre


Svegliami. Sfiora la punta rotonda del mio naso alle tre del mattino, quando neanche il buio può accusarti di eccessiva dolcezza. Parlami con suoni opachi, senza muovere le lenzuola. Scrivimi. Traccia le tue parole di inchiostro liquido sui fogli stropicciati di cui son fatta.

Lettere sparpagliate sulla scrivania, alcune ancora chiuse, altre strappate. Tutte, indistintamente, ingiallite dal tempo. Credeva di averle dimenticate, durante un trasloco frettoloso, nell'angolo di una cantina umida. E invece eccole lì, tutte, senza data né luogo, senza nessuna inutile firma.
Si scambiavano lettere. Era ridicolo, diceva lei. Era nostalgico, diceva lui.

Dici che siamo nostalgici. Eppure siamo qui, a vivere questa cosa insieme, questa, come dire, storia. Questa buffa unione di mente – corpo nel presente – passato. Abbiamo nostalgia di una cosa che ancora c'è.

Nostalgia. Di qualcosa che c'è. Lo scrive sulla sua piccola agenda blu. Eppure definirla, quella sensazione, era impossibile. Sfoglia le pagine a ritroso, tante frasi scritte di fretta, vaghe spiegazioni, impossibili tentativi di disperata concretizzazione. Siamo qualcosa.
Di quella volta in cui lei stava per parlare, ma poi non disse niente. Ché non amava dirle, certe cose.

Le parole sono belle così, scritte. Ma non tutte. Ce ne sono alcune che segui con lo sguardo, ne percorri le insenature con le dita. Altre le immagini e basta. Sennò è tutto così terribilmente privo vie di fuga.

Le lettere sono lì, tutte. Le legge, cerca di ricomporre le loro conversazioni lontane sulla base di quelle risposte scritte con una matita calcata fino a spezzarne la punta. Grigio sbavato da una mano sinistra che violenta strisciava sulla carta. E non ci riusciva, a stare dietro a quei pensieri irrimediabilmente ammassati, non ci riusciva mai.

Sono alla continua ricerca di prove che possano confutare l'importanza delle definizioni.

Era bella, quando scriveva. Non l'aveva mai vista scrivere. L'aveva vista inspirare forte il profumo del limone, o muovere le labbra mentre studiava i suoi appunti di giapponese, o stringere i pugni quando leggeva il giornale. Ma scrivere, non l'aveva vista mai. Eppure poteva scommetterci, che era bella.

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