Città. Città è una
parola piena. È una parola che riempie ogni vuoto con il solo
pensiero delle eventualità. Con la parvenza di infinite incognite
che lievi si intrecciano. È lecito tremare al solo pensiero di
quante cose potrebbero accadere, ma che in realtà non fanno altro
che restare impigliate nella sfera del possibile, incollate come
zanzare su una di quelle striscioline appiccicose, cercando un modo
per liberarsi, oppure no, che è più comodo. Io le vedo, queste
infinite possibilità, quando cammino sui ciottoli di una piazza su
cui tante biciclette sgangherate saltellano. O quando sotto un
portico sfioro il lembo di una giacca, per sbaglio, mentre vado di
fretta. Ed è come se, vedendole, mi congedassi da ognuna di loro con
un sorriso rassegnato, ché non le rivedrò più, io lo so. È la
volontà di saper scegliere, quella che a volte non c'è, ma della
quale non sempre si sente la mancanza.
Mancanza. Città è
mancanza infinita nella costante presenza, città è quella luce
spenta in un palazzo fatto di sole finestre illuminate. È presenza
forse eccessiva o forse insufficiente.
Città. Scelta. Scelta
provvisoria, scrigno di infinite decisioni, luogo di perdizione in
cui gli indecisi che tutto amano e tutto temono, e che tutto vorrebbero vivere, si trovano assorti,
in un'insopportabile mancanza (di nuovo) di contemplazione che vede ormai solo
azione, frenetiche scelte, irrimediabili decisioni.
E io, prima di scegliere
una strada, scatto una foto di quella che, a malincuore, scarto.